Smart working, proroga a sorpresa: ecco cosa accadrà
Il governo Draghi, contro ogni previsione, proroga l'erogazione della modalità semplificata di applicazione dello smart working oltre lo stato di emergenza. E allo studio c'è la revisione dell'attuale legge.
Con un piccolo colpo di scena, lo smart working “d’emergenza” durerà anche oltre lo stato d’emergenza. Questo è uno dei punti chiave dell’ultimo decreto Covid-19 targato governo Draghi. La sintesi degli organi di stampa, ossia “proroga dello smart working“, è però quantomeno rivedibile e vi spieghiamo subito il perché.
Lo smart working esiste già
Quello che è stato prorogato non è lo “smart working”, sia chiaro, ma il fatto che, all’inizio dell’emergenza (parliamo di due anni fa ormai pieni), la necessità di ricorrere a modalità non in presenza di lavoro per contenere la pandemia ha di fatto reso bypassabile l’applicazione della legge quadro in materia che già esisteva da diversi anni. Coniando così la più corretta forma di lavoro di smart working semplificato.
Cosa vuol dire prorogare lo smart working?
Nonostante il 31 marzo decadrà lo stato d’emergenza nazionale legato alla pandemia, dopo due anni di applicazione, lo smart working semplificato continuerà ad essere applicabile fino al 30 giugno 2022. Vuol dire che, in deroga alla legge 81/2017 che lo norma, alcuni vincoli contenuti nella legge nazionale di riferimento sono in qualche misura accantonabili. Su tutti, quello dell’accordo tra lavoratore e azienda che di fatto disciplina il lavoro agile e il lavoro remoto. Lo si può immaginare come un accordo tra le parti in cui il datore di lavoro e il dipendente stabiliscono i criteri attraverso cui si svolge la prestazione lavorativa, anche se non in loco e anche se non nei tempi d’ufficio.
L’assenza dell’accordo tra lavoratore e azienda, insieme all’unilateralità della disposizione dello smart working da parte del datore di lavoro, è uno dei cardini dello smart working semplificato. Gli altri due sono la semplicità di comunicazione al Ministero del Lavoro dell’erogazione dello smart (anche senza accordo) e la facoltatività dell’accordo sindacale che è vincolante “solo se le aziende applicheranno un CCNL o un accordo di secondo livello che disciplina il lavoro agile” (come da Protocollo tra Ministero e parti sociali dello scorso dicembre).
Misure che avevano un senso in fase di inizio emergenza, quando l’obiettivo era fermare l’Italia senza fermarla del tutto per motivi sanitari. Ma che dopo due anni di emergenza fa sorridere (e riflettere) sopravvivano ad essa. Infatti, la proroga sembra assumere perlopiù il ruolo di monito alle aziende: il 1 luglio la musica cambia e nessuno deve farsi trovare impreparato.
Una legge rivedibile
In ultimo, sembra (e le scelte dell’Esecutivo guidato da Mario Draghi sembrano confermarlo) che la legge 81/2017 si sia rivelata fragile in tal senso e necessaria di modifiche. Secondo indiscrezioni del Corriere della Sera infatti sembra allo studio un disegno di legge che in qualche modo raccolga le proposte parlamentari di modifica all’erogazione del lavoro agile e che (si spera) accolga anche quanto ribadito dall’Unione Europea e dalle istituzioni comunitarie che sono tornate prepotentemente nei mesi scorsi a toccare argomenti chiave quale il diritto alla disconnessione.
A prescindere da quello che accadrà, è inevitabile far riferimento al Protocollo tra Ministero e parti sociali sopra citato. Viene da sé che tornerà obbligatorio a prescindere da tutto l’accordo di disciplina dello smart working tra lavoratore e azienda. Ma se un tempo sarebbe bastato, nel futuro questo accordo dovrà necessariamente essere normato dalla contrattazione nazionale di categoria, o in alternativa da un accordo aziendale o territoriale.
Lo smart worker non deve essere discriminato
E se nel disegno trova spazio (in che misura bisogna comprenderlo) la possibilità di accedere allo smart working per genitori e/o lavoratori fragili, particolare attenzione viene prestata al diritto alla disconnessione, argomento caro anche a chi lavora in presenza e mai del tutto affrontato come “danno collaterale” dell’attuale mondo interconnesso. Si presume addirittura che una eventuale violazione del diritto alla disconnessione da parte di un datore di lavoro e/o supervisore finisca per configurare un reato in cui si applicano le disposizioni dell’interferenza illecita nella vita privata (art. 615-bis del codice penale). Anche qui, è da stabilire con che controlli e in che misura.
Ultima ma non ultima in ordine di importanza la necessità di equiparare lavoratori in presenza e in smart. I contratti dovranno equiparare il “lavoratore che svolge la propria attività lavorativa in modalità agile con il personale operante in presenza ai fini del trattamento economico e normativo, del diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro, nonché dello sviluppo delle opportunità di carriera e crescita retributiva“.