Riforma del Terzo Settore, De Rosa (CSV Napoli): “Un’opportunità da cogliere, ma impariamo a collaborare”
“La riforma permette di ragionare sulle competenze e sulle azioni, sia all’interno delle associazioni che negli ambiti territoriali e della comunità. Non è più tempo di pensare ai singoli interessi, ma di ragionare in un’ottica di programmazione territoriale collaborativa"
La riforma del Terzo Settore prende sempre più forma. Per comprendere cosa comporta e quali sono i suoi effetti a lungo e medio termine, le difficoltà e le opportunità che comporta, ne abbiamo parlato con Giovanna De Rosa, Direttore del CSV di Napoli.
Cosa cambia con la riforma del Terzo Settore per i Centri di Servizio per il Volontariato (CSV)?
“Per i Centri di Servizio per il Volontariato, sono mutati molti processi organizzativi e cambiano prevalentemente i destinatari. Prima della riforma i nostri destinatari erano esclusivamente le organizzazioni di volontariato (ODV), i volontari e gli aspiranti volontari. Con la riforma, che è iniziata con una Legge Delega nel 2016 – la 106 del 2016 – è stato definito il ruolo e dato dignità al Terzo settore. Infatti, uno dei primi decreti attuativi, il decreto legislativo 117 del 2017 è stato declinato il Codice del Terzo settore, che potremmo definire come il Testo Unico degli Enti del Terzo settore: ci sono degli articoli dedicati proprio ai CSV dove è stata rafforzata la funzione di valorizzazione e di supporto al volontariato. Fra i destinatari, quindi, non troviamo più solo i volontari degli ODV e gli aspiranti volontari ma i volontari di tutti gli Enti di Terzo settore”.
Quindi, a chi ci si riferisce?
“A tutte quelle organizzazioni, tra cui anche quelle di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali e le cooperative, le reti di cooperative, le società di mutuo soccorso… e tante altre associazioni riconosciute o non riconosciute che hanno praticamente fra le finalità il perseguimento degli obiettivi che sono di interesse generale, senza scopo di lucro. Questa funzione che è prevista per tutti gli Enti di Terzo settore prevede nelle varie organizzazioni la figura del volontario che opera in maniera gratuita: quindi noi supportiamo i volontari di tutti gli Enti”
Che effetti ha avuto questo cambiamento sui CSV?
“In effetti il bacino di utenza si è triplicato: non abbiamo ancora ben contezza di quanti siano i volontari del Terzo settore perché l’ultimo censimento dell’ISTAT risale al 2015. Proprio in questi mesi è in atto un nuovo censimento; quindi, a breve avremo dei dati aggiornati. Ciò che è certo è che nel 2015 si parla di oltre cinque milioni di volontari in tutt’Italia. C’è una mole di lavoro in più, ma sono cambiate anche, tanti aspetti gestionali ed alcune funzioni: non potremmo più occuparci di progettazione sociale e di sostenere anche con avvisi le attività di volontariato delle organizzazioni. Dal nostro osservatorio privilegiato posso dire che con la riforma sono state dettate delle modifiche a tutti gli Enti, come ad esempio le modifiche statutarie per iscriversi al Registro Unico del Terzo Settore (RUNTS) e in generale sono necessarie maggiori competenze organizzative per tutti gli iter gestionali e amministrativi. La cosa positiva è che avremo un registro nazionale del Terzo settore a cui tutti potranno attingere informazioni, soprattutto le Pubbliche Amministrazioni: mentre prima veniva gestito quasi tutto su valutazione regionale, adesso invece i requisiti sono stati standardizzati e definiti dai campi di intervento, rendendo uniforme il Terzo settore sul piano nazionale. Ma non solo: vi è stata una grande spinta alla digitalizzazione. Infatti, le singole organizzazioni devono digitalizzare tutti i loro documenti, che è sicuramente un lavoro in più a carico di tutto il settore associativo ma questo renderà più trasparente la consultazione di atti e bilanci”.
Ci sono state delle difficoltà da parte delle associazioni nel seguire le nuove norme?
“Naturalmente ha comportato oltre alle modifiche agli statuti una serie di iter burocratici e non tutti potranno farvi fronte: con il nostro Osservatorio stiamo cercando di comprendere come sarà il futuro di quanti verranno “tagliati fuori” dalla norma. Quello che stiamo già facendo come CSV Napoli è lavorare sui territori affinché le organizzazioni, soprattutto le piccole organizzazioni, capiscano il lavoro della cooperazione e del mettersi in rete con altri Enti, valorizzandone le competenze e co-programmando, co-progettando e collaborando con gli Enti Pubblici”.
Sembra essere una bella sfida…
“Questo è un lavoro che prevede dei tempi abbastanza lunghi, perché si tratta di lavorare sulla relazione, molto sulla comunicazione, sulla responsabilità condivisa. Per cui come CSV Napoli stiamo cercando di svolgere una funzione di motore del cambiamento culturale, che passa sicuramente per la promozione della cultura della solidarietà ma anche per la cultura della responsabilità sociale e dell’amministrazione condivisa. Gli Enti del Terzo settore dovranno strutturarsi, essere consapevoli del cambiamento, sapere che se non si vince questa sfida difficilmente in futuro si potranno avere spazi di operatività i perché, ad esempio, la Riforma prevede l’iscrizione al RUNTS per collaborare con le Pubbliche Amministrazioni o per partecipare a bandi pubblici”.
Crede sia un problema solo del Sud Italia o una difficoltà nazionale il fatto di lavorare poco in rete? “Dal mio punto di vista “privilegiato”, posso dire che è un problema che si riscontra su scala nazionale e prevedrà anche nell’immediato un calo delle iscrizioni al Registro, nel settore del volontariato. Ciò è dovuto anche ad una serie di iter burocratici a cui le associazioni non fanno fronte facilmente: siamo ancora, dopo cinque anni, in un momento di transizione. Nonostante non ci siamo mai fermati durante la pandemia, il CSV di Napoli ha avuto dal 2015 un continuo e costante incremento delle attività di consulenza per le modifiche statutarie, di cui molte sono ancora in atto. È un processo che bisogna valutare a lungo termine: su questo credo che, in generale, nel Sud Italia siamo più restii a forme di collaborazione. Abbiamo un problema nel costituire le reti, le relazioni di fiducia, ed è su questo che lavoriamo perché si tratta di cogliere delle opportunità nuove”.
In che senso?
“La riforma permette di ragionare sulle competenze e sulle azioni, sia all’interno delle associazioni che negli ambi territoriali e della comunità. Non è più tempo di pensare ai singoli interessi, ma di ragionare in un’ottica di programmazione territoriale collaborativa, perché con l’articolo 55 del Codice del Terzo Settore la “competitività” fra gli enti lascia spazio alla co-programmazione e alla co-progettazione. Per questo motivo, come CSV, stiamo innescando dei processi per stimolare la co-responsabilità sui temi di interesse generale. È questa la grande sfida che siamo chiamati a stimolare sul territorio: ci vuole un cambio di paradigma, ossia non più lavorare singolarmente ma essere un tessuto, una rete”.
È una bella sfida… ma le istituzioni locali, in questo contesto, hanno dato delle direttive o una sorta di “mappa dei bisogni” di un territorio per non replicare le stesse esperienze di volontariato?
“La sfida riguarda anche le Pubbliche Amministrazioni in questo momento. Il Codice parla chiaro: citando l’articolo 55, “La co-programmazione è finalizzata all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili. La co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti”. Si tratta, quindi, di un modello diverso in cui l’interesse generale viene perseguito grazie alla collaborazione tra gli enti del Terzo settore tra loro e con la Pubblica Amministrazione. Per questo motivo c’è un allargamento degli spazi della partecipazione attiva e della democrazia, che comunque deve generare capitale sociale, coesione sociale, nei territori e nelle diverse comunità. Anche le PA e gli Enti Locali non sono ancora pronti per avviare questi processi: noi come CSV di Napoli abbiamo lanciato nel 2021 una sfida alle PA, invitandole a fare formazione su questi processi: su 92 comuni abbiamo avuto cinque adesioni. Non è incoraggiante, ma abbiamo rilanciato anche quest’anno il supporto consulenziale agli Enti Pubblici: è importante che si continui a lavorare sull’aspetto della formazione congiunta, anche perché in futuro le convenzioni con gli Enti locali potranno essere siglate solo con i soggetti iscritti al RUNTS. Tutti saranno il motore del cambiamento e della trasparenza, in un’ottica di costruzione di percorsi di welfare community”.
Ci sarà bisogno di una grande collaborazione…
“Si, come c’è stata nel corso della pandemia con gli Enti Locali: abbiamo lavorato fianco a fianco ed ha funzionato. Ma la collaborazione non può funzionare solo in ottica emergenziale: va costruita, stimolata, è un processo che prevede una condivisione tra diversi soggetti, per questo è necessario puntare sull’ aspetto culturale, che è completamente diverso, che passa inevitabilmente per la consapevolezza che tutto va condiviso con regole chiare: c’è un cambio di passo dal concetto di competizione a quello di collaborazione. La grande sfida è ragionare insieme, coinvolgendo più stakeholder, in modo trasversale e collettivo in modo da creare delle comunità solidali che possano fare sistema fra loro e per il territorio. Il passo in avanti che può fare la differenza in questo momento storico è sviluppare competenze e indicatori, anche qualitativi, sull’impatto che le azioni vanno a produrre sulle comunità in termini di cambiamento e miglioramento, e questo va condiviso con tutti gli attori di una comunità: Cittadinanza, Enti del Terzo settore, Pubbliche Amministrazioni e anche Imprese”.
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