Se il lavoro diventa emergenza nazionale: posti vacanti e carenza di risorse umane
Secondo i consulenti si tratta di un dato importante, che certifica un fenomeno più generale di allontanamento dal lavoro, prodotto da cause diverse, tra cui il rifiuto di lavori a bassa remunerazione, la crescita di forme di lavoro irregolare, l’aumento del numero dei percettori di sussidi pubblici avvenuta durante la pandemia o, più semplicemente, una revisione delle priorità di vita nel dopo pandemia, che ha portato ad una visione diversa del lavoro nella vita delle persone.
Il tema del lavoro sembra essere diventato una vera e propria emergenza nazionale, con molteplici scenari (spesso negativi) che si intrecciano fra loro generando difficoltà crescenti alle imprese e agli stessi aspiranti dipendenti.
Cosa sta accadendo nel mondo del lavoro
Volendo fare una panoramica coniugata con le esigenze di sintesi, già da qualche mese dilaga il fenomeno delle “grandi dimissioni“: sempre più persone, soprattutto a valle della congiuntura pandemica, scelgono di cambiare luogo di lavoro e ruolo professionale per una maggiore conciliazione fra i tempi vita-lavoro (il così detto work life balance).
Al tempo stesso, altri ancora hanno scelto di diventare dei veri e propri “nomadi digitali”: parliamo di quelle persone che scelgono di lavorare in smart working in qualsiasi parte del mondo, autogestendosi – quando possibile – orari e tempi e concentrandosi sugli obiettivi.
Ma queste non sono le uniche cause, sia chiaro: sul piatto della bilancia pesano, per la maggior parte delle persone, stipendi non adeguati al carico di lavoro o al profilo; il gender gap; la mancanza di formazione e le modalità di lavoro non (più) consone con la vita quotidiana.
Siamo, quindi, di fronte ad una rivoluzione del mercato del lavoro? Senz’altro. Ma questa spinta a “lavorare meglio” – ossia, a lavorare ma non costretti al vincolo del luogo fisico del lavoro e dai dogmi “tradizionali” degli impieghi – si scontra, d’altra parte, con un altro grande fattore: la carenza di profili professionali specializzati (soprattutto in ambito ICT) e la mancanza di profili professionali di larga scala e temporanei (come gli stagionali, ad esempio). Insomma, il corto circuito è iniziato.
I dati
Secondo la ricerca “Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono” realizzata dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro e anticipata oggi a Bologna in occasione della conferenza stampa di presentazione del Festival del lavoro 2022, complessivamente, a giugno 2022, su quasi 560mila entrate al lavoro previste, 219mila (39,2%) risultavano di difficile reperimento.
Nello stesso mese del 2019, tale valore si attestava al 25,6%. A crescere, è stata la carenza di candidati (23,7% contro il 12,2% del 2019) mentre la quota di aziende che associa la difficoltà di reperimento alla preparazione inadeguata degli stessi è rimasta pressoché simile (11% circa).
E i risultati di una recente indagine svolta su un campione di oltre 2000 consulenti del Lavoro nel mese di maggio, evidenzia, tra i fattori che rischiano di penalizzare la ripresa occupazionale, dopo il costo del lavoro, indicato al primo posto dal 64,5% la difficoltà di reperimento dei profili necessari alle aziende (42,7%). Criticità particolarmente avvertita nelle aree in piena ripresa: al Nord Est, il 64,5% degli intervistati indica l’item al primo posto.
Più della metà dei consulenti del lavoro (51,2%), dichiara che le difficoltà di reperimento di nuove risorse sarà la principale tendenza fino alla fine dell’anno, seguita, a distanza, dalla crescita della povertà lavorativa, dalla ripresa di fenomeni di irregolarità del lavoro, ma anche dalla difficoltà crescente delle aziende a trattenere i giovani.
L’ultimo bollettino Unioncamere Excelsior di previsione dei fabbisogni occupazionali a giugno, confermando i trend degli ultimi mesi, evidenzia criticità importanti con riferimento ad alcuni profili: in particolare, rispetto alle previsioni di assunzione per il periodo giugno-agosto 2022, a mancare saranno soprattutto cuochi, camerieri e professioni in ambito turistico (si stima che saranno più di 50mila le opportunità di lavoro non coperte) e, a seguire, operai edili specializzati (16mila), conduttori di mezzi di trasporto (15mila), personale non qualificato nei servizi di pulizia (quasi 15mila), tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione (13mila circa) operai metalmeccanici (più di 21mila, nel settore di specializzazione e in altri), tecnici delle vendite, commessi e altro personale di segreteria.
Ma quanti cercano lavoro?
Un dato interessante che emerge dalla ricerca è che in Italia si registra una significativa riduzione della platea di persone interessate a lavorare, che non ha precedenti nella storia più recente.
Secondo la ricerca, tra 2018 e 2021, la popolazione in età da lavoro, dai 15 ai 64 anni, si è ridotta di misura, con una perdita di 636mila residenti (-1,7%) di cui 262mila con meno di 35 anni (-2,1%). Non solo; al calo demografico, si è aggiunta una ricomposizione interna di tale fetta di popolazione: si è ridotta la componente attiva di chi ha un lavoro e lo cerca (-831mila per un decremento del 3,3%) e, di contro, è aumentato il numero di quanti non cercano lavoro o sono scoraggiati a farlo (+194mila, per un incremento dell’1,5%).
Secondo i consulenti si tratta di un dato importante, che certifica un fenomeno più generale di allontanamento dal lavoro, prodotto da cause diverse, tra cui il rifiuto di lavori a bassa remunerazione, la crescita di forme di lavoro irregolare, l’aumento del numero dei percettori di sussidi pubblici avvenuta durante la pandemia o, più semplicemente, una revisione delle priorità di vita nel dopo pandemia, che ha portato ad una visione diversa del lavoro nella vita delle persone.
Qualunque sia la ragione, è indicativo che anche tra le componenti tradizionalmente più vitali, come gli immigrati, si riscontrino le stesse tendenze, in forma anche più marcata. A fronte, infatti, di una crescita della popolazione di origine straniera in età attiva (+1,6%), le forze lavoro sono diminuite del 3,5%, mentre è cresciuta esponenzialmente l’area dell’inattività (+14,4%).
Occorre, allora, ripensare le logiche di assunzione e di impiego dei lavoratori, investire sulla formazione degli stessi, assicurare percorsi di crescita in azienda e, d’altra parte, aiutare le aziende a contenere i costi delle risorse umane. Altrimenti, l’Italia sarà un Paese di “poeti, santi e navigatori” ma anche disoccupati.