Lavoro

“L’apprendistato è la soluzione alla mancanza di manodopera”, secondo INAPP

"Abbiamo una carta importante da giocare per il mercato del lavoro, ma stentiamo ad utilizzarla", sostiene il presidente INAPP Fadda. Perché l'apprendistato non convince le imprese e i dipendenti, allora?

“Abbiamo una carta importante da giocare per il mercato del lavoro, ma stentiamo ad utilizzarla”. Quella carta è l’apprendistato e ad affermarlo è Sebastiano Fadda, presidente di INAPP (ex ISFOL), Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche. “L’apprendistato – spiega Fadda – potrebbe essere uno strumento fondamentale per rispondere a quella domanda di figure professionali che ancora mancano sul mercato, eppure stenta a decollare”.

La risposta al problema della manodopera è l’apprendistato, secondo l’Inapp che lo mette nero su bianco nel policy brief che riprende i risultati dal XX Rapporto sull’apprendistato, realizzato dallo stesso Istituto in collaborazione con INPS per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Che questo 2022 sia stata contraddistinta dalla carenza di operai e artigiani, personale della ristorazione e addetti specializzati nell’edilizia è un dato di fatto. L’idea di una formazione che possa sopperire alle carenze di personale in realtà non è proprio stata trascurata, si veda ad esempio l’esperimento (discutibile) di Federterziario con Hgv per portare stagisti siciliani in Trentino Alto Adige e salvare la stagione della ristorazione importando giovani cuochi, camerieri e baristi.

Ricorrere all’apprendistato, per INAPP, è una soluzione ‘win-win’ gioverebbe tanto alle imprese quanto ai lavoratori: il contratto d’apprendistato, spiegano, prevede esoneri contributivi e sgravi fiscali per chi assume con la possibilità di formare il proprio lavoratore; quest’ultimo viene assunto con un contratto a tempo indeterminato, poiché tale è l’apprendistato, e può aspirare a proseguire come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a conclusione del percorso di formazione in alternanza, contribuendo così anche ad abbattere il fenomeno della precarizzazione.

Una formula talmente bella che non spiega, però, come “questo tipo di contratto è ancora largamente sottoimpiegato”, come scrive l’INAPP nella sua nota stampa, e come mai dal 2020 i rapporti di lavoro di questo tipo siano del tutto al palo, dopo anni di crescita.

Perché pochi contratti di apprendistato? La spiegazione INAPP

Certo, il Covid ci ha messo il suo. Ma si registrano criticità anche sul fronte degli adempimenti previsti dal contratto. In particolare, per quanto riguarda la formazione dell’Apprendistato professionalizzante, la tipologia più diffusa delle tre forme di apprendistato (con un peso pari al 97,7% dei casi). “Nel corso degli ultimi dieci anni – spiega INAPP – il tasso di copertura, ossia il rapporto tra gli apprendisti con contratto professionalizzante inseriti nei percorsi di formazione pubblica e il numero complessivo di apprendisti occupati con la stessa tipologia contrattuale, è stato di circa il 30%. Nel 2020 il rapporto scende ulteriormente (22,4%) a causa del divieto stabilito dall’Ispettorato nazionale del lavoro, per gli apprendisti beneficiari della cassa integrazione, di svolgere l’attività formativa, poiché nel periodo di erogazione della CIG Covid-19 risultava sospeso sia il rapporto di lavoro che l’obbligo formativo”. 

Poi c’è una riduzione della spesa destinata all’apprendistato. “Lo stesso stanziamento nazionale per il finanziamento della formazione in apprendistato professionalizzante – fanno sapere da INAPP – è stato gradualmente ridotto, dai 100 milioni di euro del 2011 ai 15 milioni per le annualità 2017 e seguenti. Questo ha spinto Regioni e PA a limitare a loro volta l’impegno a sostegno dell’offerta formativa: in dieci anni, dal 2011 al 2020, il livello di spesa si è ridotto di circa il 40%“. 

Nel corso degli ultimi anni l’attenzione si è spostata sulle tipologie di apprendistato a maggiore valenza formativa che portano al conseguimento di un titolo di studio, con l’obiettivo di costruire una “via italiana al sistema duale” e avvicinare l’Italia alle migliori pratiche europee. E, in effetti, dal 2016/2017 si osserva una crescita continua degli apprendisti inseriti nei percorsi che rilasciano titoli del secondo ciclo di istruzione (primo livello) e dell’istruzione terziaria (terzo livello), ma il loro peso è molto limitato (nel 2020 sono 8.823 gli apprendisti in formazione di primo livello e 805 quelli di terzo livello) e concentrato in poche regioni. 

INAPP

Il problema su larga scala

Esistono degli strumenti, quindi, ma la percezione che portino da qualche parte evidentemente manca tanto ai giovani (e non) che dovrebbero rientrare in questi percorsi quanto alle aziende che potrebbero utilizzarli. Manca la fiducia, certo, e questo dato nei giovani che approcciano al mondo del lavoro è evidente (percentuale di NEET, disoccupazione giovanile etc.). Resta anche il dato, diffuso da Unipol e Adapta nelle scorse settimane, che recita che un giovane su tre lavora o ha lavorato a nero, dato che lascia presupporre che zero spese è comunque per alcuni erogatori di lavoro comunque preferibile a poche spese.

Come scriveva il collega Claudio Mazzone su queste pagine:

[…] l’apprendistato è un percorso contrattuale utilizzato solo nel 13% dei casi e il contratto di somministrazione che è il primo passo prima di una stabilizzazione addirittura solo nell’8% dei casi. Eppure queste due forme di contratto offrono maggiori possibilità (rispettivamente del 12,5% e del 11% in più) di avere un rapporto stabile di lavoro, rispetto ai contratti a tempo determinato. Dunque dovrebbero questi due percorsi dovrebbero essere quelli più incentivati dallo Stato, attraverso politiche attive e processi di defiscalizzazione, per assicurare ai giovani un lavoro vero, lontano dalla precarietà e soprattuto regolare con tutele e doveri.

Serve quindi un lavoro culturale ancor prima che di sensibilizzazione, per valorizzare strumenti che possano aiutare nella difficile impresa di rilanciare il mercato italiano. È anche vero però, e non bisogna dimenticarlo, che i percorsi di apprendistato devono mantenere una forte valenza e componente formativa. E fin quando verranno tirati fuori dal cilindro per risolvere problemi atavici di carenza di manodopera qualificata, e non visti come un’opportunità di crescita reale e a lungo termine, è chiaro che terranno i giovani ancora e comunque lontano.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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