Più della metà dei lavoratori ha subito discriminazione sul lavoro: lo studio Cegos
Su 4.000 dipendenti coinvolti nel sondaggio, il 63% dichiara di aver subito discriminazioni sul luogo di lavoro. Ma la percentuale sale sopra l'80 percento quando da vittime si passa ad essere testimoni.
Almeno una volta nella vita, il 63% degli intervistati ha dichiarato di aver subito discriminazione sul luogo di lavoro; la percentuale però sale all’82% se non si tratta di aver subito ma di aver assistito a una qualsivoglia forma di emarginazione nei confronti di un collega. Sono i dati, preoccupanti ma forse non così sorprendenti, che ha tirato fuori Cegos attraverso uno studio su un campione di 4.000 lavoratori dipendenti e più di 400 direttori e/o manager di risorse umane in sette Paesi. Oltre all’Italia, ci sono Francia, Germania, Gran Bretagna, Portogallo e Spagna e – oltreoceano – il Brasile.
Il gruppo Cegos, player internazionale del Learning & Development, nato in Francia quasi un secolo fa e attualmente presente in più di 50 Paesi, ha diffuso i risultati del sondaggio attraverso uno studio dal titolo: “Diversity & Inclusion nelle aziende: le competenze legate alle sfide di una trasformazione culturale”.
Dall’età allo status sociale: ecco perché si viene discriminati sul luogo di lavoro
Che gli ambienti di lavoro possano essere un inferno, un luogo di scontro o ambiente fertile per atteggiamenti discriminatori e vessatori è tristemente ancora un fatto noto. Secondo lo studio Cegos, per i responsabili HR il primo fattore in assoluto (il 25%) di discriminazione sul lavoro è data ancora dall’età. Seguono a ruota condizioni di salute (19%), genere (18%), aspetto fisico, livello scolastico e status sociale (16%).
Diversa la percezione dei dipendenti: è l’aspetto fisico il motivo principale di emarginazione e discriminazione. Età, opinioni politiche e genere seguono la triste graduatoria.
Il 71% del campione complessivo ha comunque ben chiaro cosa si intenda per diversità, e tre intervistati su quattro hanno “una visione cristallina sulla tematica dell’inclusione”, ritenendo inoltre che “l’organizzazione rifletta la diversità della società”. Ma solo il 42% dei dipendenti afferma di sentirsi “pienamente incluso” nel suo luogo di lavoro.
Riferendosi solo al campione dello Stivale interrogato (500 dipendenti e all’incirca 60 HR), viene fuori che causa delle discriminazioni che pesano sugli italiani sono sì l’aspetto fisico, ma anche identità di genere e situazione famigliare, in percentuale superiore rispetto alla media registrata dall’intero sondaggio.
La questione di genere
I comportamenti sessisti – si legge nel sondaggio – sono meno frequenti secondo 6 rispondenti su 10, ma è altrettanto vero che solo il 36% ritiene che le donne si sentano più libere di denunciare comportamenti discriminatori legati al proprio essere donna.
In generale, va detto, il 67% dei dipendenti intervistati è favorevole alla politica delle quote, così come il 65% degli HR Manager. Percentuali che salgono di dieci punti percentuale almeno se riferite all’Italia.
Nascita e soluzione della discriminazione sul posto di lavoro
Su una cosa, però, entrambe le platee di interrogati concordano: gli episodi di discriminazione si concentrano durante l’assunzione, in fase di promozione e di integrazione. Un problema sentito, che secondo i manager dell’HR va gestito direttamente alla radice con particolare attenzione a un percorso di recruiting delle risorse umane che sia non discriminativo. Una misura che da sola non basta: formazione specifica e flessibilità e/o supporto alla genitorialità o per i caregiver. Le principali soft skill che un manager dovrebbe sviluppare per essere più inclusivo sono l’empatia e la comprensione, l’ascolto e la tolleranza. In Italia, con il 50%, il primo posto, invece, viene occupato dall’intelligenza emotiva, seguito dall’apertura mentale.
“Se una serie di azioni di sensibilizzazione sono già in atto – spiega Cegos in una nota – serve però migliorare la comunicazione delle politiche di Diversity & Inclusion, chiaramente definite ed esposte in azienda solo per il 36% dei dipendenti italiani contro il 40% di quelli internazionali”. Occorrerebbe inoltre, secondo la ricerca, favorire una politica “tolleranza zero” nei confronti di discriminazione e molestie per il 43% degli HR Manager (37% in Italia). Per gli italiani, inoltre, sarebbero importanti anche lo sviluppo di una cultura comune, sottolineata dal 43% degli HR (38% a livello globale) e dal 34% dei dipendenti (32% a livello globale) e un management team che porti i valori dell’inclusione al più alto livello in azienda (43% rispetto al 33% dell’internazionale).