“Il pluralismo sindacale? Una ricchezza. Problemi di rappresentanza in Italia enormi”
Fulvio Pastore, ordinario di Diritto costituzionale dell'Università Federico II di Napoli: "La libertà sindacale garantisce il pluralismo nel mondo del lavoro". Il ritratto di un mondo poco avvezzo a cambiare, mentre l'Europa spinge sul salario minimo.
“I problemi di rappresentanza sindacale nel nostro Paese esistono e sono enormi“. Non usa mezzi termini Fulvio Pastore, costituzionalista e Professore ordinario di Diritto costituzionale al Dipartimento di giurisprudenza dell’Università degli studi di Napoli Federico II. Il ruolo del sindacato oggi, frammentarietà e rischi di accentramento sono al centro del nostro incontro, che parte da un dogma incontrovertibile: il sindacato è previsto dalla nostra Costituzione e in quanto tale la sua importanza ancora oggi è fuori discussione per la nostra democrazia.
Professor Pastore, l’articolo 39 della Costituzione attribuisce al Sindacato una determinante importanza nel nostro Ordinamento e nel nostro vivere democratico. Ad oggi, quanto di quell’intenzione dei Padri costituenti è mantenuta?
“Il filo conduttore della nostra Costituzione democratica è costituito dal principio pluralista, secondo il quale la Repubblica tutela i diritti fondamentali della persona umana, intesa non solo come individuo, ma anche come componente delle formazioni sociali nelle quali si svolge la sua personalità.
Il pluralismo si declina sotto innumerevoli profili, tra cui innanzitutto: quello politico, attraverso il ruolo di partiti e altre associazioni o movimenti politici; quello religioso, attraverso l’affermazione della laicità dello Stato e della libertà di religione, con il riconoscimento non solo del cattolicesimo ma anche delle altre confessioni religiose; quello territoriale, con il riconoscimento e la promozione delle autonomie territoriali, intese come comunità di persone che concorrono a costituire la Repubblica; quello delle comunicazioni, attraverso il riconoscimento della libertà di manifestazione del pensiero e della stampa.
Il pluralismo nel mondo del lavoro è garantito soprattutto attraverso la libertà sindacale. Da questo punto di vista, la Costituzione repubblicana ripudia la logica corporativa del regime fascista, che annullò il pluralismo sindacale e stabilì l’obbligo di iscrizione al sindacato fascista per lo svolgimento di molte attività lavorative, riconoscendo alle norme corporative efficacia vincolante verso tutti i lavoratori (erga omnes), indipendentemente dalla loro iscrizione o meno ai sindacati. La nostra Costituzione democratica, infatti, prevede e tutela sia la libertà positiva di associarsi in sindacati, sia quella negativa di non iscriversi a un sindacato. Peraltro, si prevede espressamente la possibilità che in ciascun ambito del mondo del lavoro ci siano più sindacati e si sottolinea come si debba tener conto della loro rappresentatività effettiva tra i lavoratori.
L’articolo 39 della Costituzione, peraltro, prevede anche la possibilità che i sindacati vengano riconosciuti dallo Stato, acquistando in tal modo personalità giuridica e stipulando contratti collettivi di lavoro con efficacia vincolante erga omnes. Per questa parte, tuttavia, il disposto costituzionale è rimasto inattuato. Probabilmente anche perché i sindacati non hanno mai voluto munirsi di statuti che garantissero trasparenza e piena partecipazione democratica nella vita interna e perché hanno voluto sottrarsi a controlli esterni da parte dell’amministrazione e della magistratura sui rapporti interni. Pertanto, i sindacati sono giuridicamente delle associazioni non riconosciute, prive di personalità giuridica e possono stipulare solo contratti collettivi applicabili ai lavoratori iscritti ai sindacati stipulanti il contratto o aderenti al contratto“.
Esiste un problema di rappresentanza sindacale in questo Paese? E se sì, quale?
“I problemi di rappresentanza sindacale nel nostro Paese esistono e sono enormi. Innanzitutto, c’è da dire che la progressiva precarizzazione del lavoro, accompagnata dall’indebolimento complessivo del sistema di tutele e garanzie giuridiche dei lavoratori, tende a scoraggiare e ostacolare la partecipazione di questi ultimi alla lotta sindacale. Oggi i sindacati hanno iscritti prevalentemente tra i pensionati e tra i lavoratori subordinati a tempo indeterminato di aziende medie e grandi. Pertanto, tendono a rappresentare soprattutto gli interessi di questi lavoratori, trascurando battaglie a favore di giovani precari e dipendenti di piccole imprese. Inoltre, non si può negare come vi sia una tendenza autoreferenziale degli apparati interni ai sindacati, con una scarsa partecipazione collettiva alla vita interna e con una cristallizzazione eccessiva dei ruoli dirigenziali. A questo si aggiunga che i principali sindacati confederali godono, rispetto ai piccoli sindacati e ai sindacati autonomi, di una rendita di posizione riconosciuta dalla politica e dall’amministrazione che li spinge spesso a impigrirsi nella lotta e a non interessarsi abbastanza del consenso dei lavoratori al loro operato“.
Spesso si lamenta un’eccessiva frammentarietà della rappresentanza sindacale. È davvero un problema?
“Il pluralismo sindacale è una ricchezza e un antidoto ai problemi determinati dalla scarsa rappresentatività dei sindacati maggiori. Dovrebbe costituire uno stimolo costante per i sindacati confederali a interpretare meglio gli interessi e i bisogni dei lavoratori.
Certo, in sede di contrattazione con la parte datoriale o di concertazione con la parte politica, la eccessiva frammentazione può costituire un ostacolo alla ricerca di una posizione unitaria dei lavoratori che consenta di ottenere risultati utili. Si tratta di trovare meccanismi efficaci di partecipazione e di rappresentanza che tengano conto della effettiva rappresentatività di ciascun sindacato e consentano al pluralismo sindacale di tradursi in un fattore virtuoso e non in un peso per i lavoratori”.
Quali sono gli attuali limiti della rappresentanza sindacale in Italia e come risolverli?
“Credo che molti sindacati italiani siano rimasti ancorati a categorie e schemi mentali del Secolo scorso. Si tratta di cogliere le novità del mondo del lavoro e dare rappresentanza alle nuove tipologie di lavoratori emerse con l’evoluzione del mercato e della società. Si tratta di migliorare significativamente i livelli di partecipazione dei lavoratori all’attività sindacale, avvalendosi anche degli strumenti digitali messi a disposizione dall’evoluzione scientifica e tecnologica. Oggi, ad esempio, la consultazione dei lavoratori sulle questioni da affrontare potrebbe essere molto più rapida ed efficace attraverso i mezzi informatici. Così come dovrebbe essere molto più facile per i lavoratori presentare istanze ai dirigenti sindacali o segnalare questioni da affrontare alla comunità sindacale di appartenenza. Non hanno più senso i triti e stanchi rituali delle riunioni sulle sedi del sindacato tra piccoli gruppi di attivisti o di dirigenti“.
L’accordo raggiunto dalle Istituzioni europee sul salario minimo, inoltre, prevede la centralità del sindacato nelle trattative dei Paesi per la definizione delle cifre minime. Come i sindacati si presentano a questo importante appuntamento futuro?
“La definizione per via legislativa di un salario minimo orario va considerata come un risultato positivo e da perseguire. Ovviamente, per i rapporti ai quali risulti applicabile il contratto collettivo nazionale di lavoro, nel caso in cui questo ultimo preveda un trattamento retributivo migliore, deve continuare a farsi riferimento alla normativa contrattuale. I sindacati, quindi, non devono sentirsi sminuiti nel loro ruolo dalla previsione legislativa di un salario minimo. Questo servirà a dare copertura ai rapporti non assoggettabili ai contratti collettivi e nel contempo eviterà che in sede contrattuale si possa scendere al di sotto di un livello retributivo dignitoso. Ovviamente non si può pensare di introdurre un salario minimo come quello previsto in altri Paesi membri dell’Unione Europea, come ad esempio il Lussemburgo, dove lo stipendio minimo è di duemilacinquecento euro mensili, perché in tal modo si configurerebbe un ostacolo all’aumento dei livelli occupazionali. Si tratta di individuare un livello ragionevole che assicuri ai lavoratori e alle loro famiglie un esistenza libera e dignitosa. Trovo vergognoso che alcuni rappresentanti di organizzazioni datoriali considerino il reddito di cittadinanza un ostacolo all’assunzione di lavoratori, persino in settori, come quello balneare e turistico, dove ci sono margini di profitto enormi. Purtroppo i sindacati si presentano divisi e litigiosi a questo appuntamento, oltre che inspiegabilmente timorosi di subire una perdita di ruolo”.
Sempre tornando al Salario minimo, dall’Ue sottolineano l’importanza che la retribuzione minima oraria sia estesa al maggior numero di lavoratori possibile, anche quelli attualmente meno tutelati e con contratti atipici. In un mercato così liquido che ruolo può e deve svolgere il Sindacato per ottemperare ai suoi “doveri morali”?
“Si tratta di un’occasione imperdibile per i sindacati di svolgere un ruolo di rappresentanza di tutto il mondo del lavoro senza concentrarsi solo sugli interessi dei propri iscritti. Si potrebbe aprire una nuova e proficua fase di concertazione con la parte datoriale e con la parte politica. L’auspicio è che i sindacati confederali sappiano fare sintesi e massa critica dialogando proficuamente anche con le altre organizzazioni sindacali, evitando così strappi autoreferenziali. Solo in tal modo il pluralismo e la libertà sindacale potranno esprimere al massimo la loro potenzialità virtuosa e si raggiungerà un’unità di forze nell’interesse dei lavoratori”.
Un Commento