Prima la Great Resignation, ora il Quiet Quitting: meno carriera e più benessere per chi cerca lavoro
"Non servono grandi slogan, ma ambienti di lavoro flessibili non solo in termini di tempi e luoghi, ma soprattutto di gestione delle persone che, oggi più che mai, desiderano bilanciare nel miglior modo possibile vita professionale e vita privata”.
Cambiano i valori dei candidati alla ricerca del lavoro dei sogni: prima la Great Resignation (ossia, le grandi dimissioni), ora il Quiet Quitting (che si potrebbe tradurre in un “abbandono silenzioso”). Si potrebbero sintetizzare con queste due espressioni quello che sta accadendo nel mercato del lavoro negli ultimi due anni.
Secondo i dati dell’Osservatorio INPS, negli ultimi sei-otto mesi, più di un milione di candidati italiani avrebbe dato le dimissioni. Ora, però, sembrerebbe che i lavoratori stiano facendo un passo ulteriore, per certi versi ancora più difficile da analizzare, che è connesso alla ricerca di benessere e al contrasto al burnout: niente ritmi di lavoro iper-stressanti, niente connessione h24 e 7/7 e niente rincorsa alla crescita professionale a tutti i costi.
Il fenomeno del Quiet Quitting
A proposito del Quiet Quitting: non si tratta di un fenomeno del tutto nuovo, ma nel periodo post pandemico ha preso sicuramente il sopravvento. Quando si parla di Quiet Quitting, nel dettaglio, ci si riferisce ad una modalità di affrontare il lavoro scevra da ulteriori impegni e pressioni: si rifiutano straordinari o progetti aggiuntivi che non rientrano fra le mansioni prestabilite dal contratto.
Insomma, si fa il “giusto necessario” per portare avanti l’attività lavorativa (e non incorrere in motivi di licenziamento). Ma quanto è preoccupante il Quiet Quitting nella realtà e come impatta nelle dinamiche lavorative?
“Indipendentemente da come vogliamo definire questo fenomeno – spiega Francesca Contardi, managing director di EasyHunters, prima società di ricerca e selezione con un Digital Operating Process – dobbiamo necessariamente fare una riflessione perché il fatto che molti candidati abbiano, negli ultimi due anni, stravolto i propri valori e abbiano iniziato a considerare il lavoro e la carriera non una priorità: abbiamo sentito storie di alcuni candidati che hanno dato dimissioni volontarie, senza avere una alternativa di lavoro già pronta. Tutto questo ha un impatto notevole anche sulla vita delle aziende che, se non vogliono perdere i migliori talenti, dovranno mettere in campo strategie nuove per raggiungere maggiori livelli di engagement delle proprie risorse”.
La poca motivazione porta le persone a svolgere solo le attività ritenute fondamentali per portare a termine compiti e progetti. Significa, in altre parole, non andare mai oltre il proprio job title e le proprie mansioni. Il lavoro, dunque, non è più al centro della vita e anzi c’è una netta separazione tra vita professionale e vita privata, con paletti stabiliti e invalicabili. Questo è probabilmente un’eredità del Covid-19, periodo nel quale siamo stati costretti a vivere con meno e molti si sono resi conto che, tutto sommato, non è poi un aspetto così negativo.
Ma non solo. Secondo quanto riporta Wired, l’ipotesi della Harvard Business Review sul Quiet Quitting è che “l’abbandono silenzioso non riguarda tanto la volontà dei dipendenti di lavorare di più o di meno e con maggiore o minore coinvolgimento, quanto la capacità di un manager di costruire un rapporto con gli impiegati che non li induca a non vedere l’ora di uscire dall’ufficio“.
Insomma, un mix dal quale potrebbe essere difficile districarsi.
La centralità del benessere in azienda
Cosa possono fare, dunque, le aziende per evitare che si moltiplichi il Quiet Quitting e la situazione possa sfuggire di mano e impattare sui livelli di performance? Poiché, in gran parte delle imprese, la presenza costante in ufficio non è più così scontata, è fondamentale che i manager siano in grado di cogliere – anche a distanza – segnali di malessere o disallineamento delle persone, promuovendo la cultura dell’ascolto e del confronto continuo.
“Essere disponibili al confronto e all’ascolto – aggiunge Francesca Contardi – permette di cogliere, in breve tempo, eventuali criticità, ma soprattutto crea relazioni basate sulla fiducia e aiuta a costruire (o ricostruire) un ambiente sano, nel quale le persone si sentano parte di un gruppo che ha gli stessi obiettivi e gli stessi valori. Non servono grandi slogan, ma ambienti di lavoro flessibili non solo in termini di tempi e luoghi, ma soprattutto di gestione delle persone che, oggi più che mai, desiderano bilanciare nel miglior modo possibile vita professionale e vita privata”.